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lunedì 8 gennaio 2007

Un futuro incerto / 3

La speranza positivistica, di una scienza che arrivasse ad un sapere globale e certo, così che i fenomeni si potessero prevedere e si riuscisse a controllare la natura, si è realizzato solo parzialmente.
Il XX secolo è caratterizzato dallo sviluppo dell'incertezza a livello psicologico, e della complessità a livello epistemologico.

L'incertezza nel futuro genera ansia; soprattutto nei giovani, i quali percepiscono di trovarsi di fronte non tanto un futuro colmo di speranze, quanto piuttosto un domani gravido di minacce.
La tecnologia, sempre più complessa, ci permette, con il semplice gesto di premere un bottone, azioni sempre più potenti.

Ora, la nostra società è la prima che, possedendo delle tecniche, ne è anche, al tempo stesso, letteralmente posseduta. Ci limitiamo a premere dei pulsanti, ignorando il più delle volte quali meccanismi vengano innescati. Questa realtà storica produce inevitabilmente una soggettività straniata, un sentimento di esteriorità rispetto al mondo circostante (1).
(Per un approfondimento del tema, vedi anche la differenza fra pensiero calcolante e pensiero meditante, nel post Due modi di pensare / 1 e seguenti).

(1) M. Benasayag e G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2006 (2003), p. 24.

domenica 7 gennaio 2007

Un futuro incerto / 2

In effetti, anche se le tecnoscienze non cessano di progredire, il futuro resta più che mai imprevedibile, e ciò sembra gettare l'umanità di oggi in un'impotenza assoluta. E' come se l'espansione della tecnica non potesse trovare alcun limite, alcuna risonanza in una riflessione capace almeno di orientarla, dato che non la può limitare. Il fatto che tutto ciò che è possibile realizzare tecnicamente lo sia per davvero, con conseguenze non da poco sul piano umano e culturale, lungi dal lasciare indifferenti, costituisce uno dei motivi quotidiani di ansia (anche se la cosa non viene pensata in questi termini).

[...] Il mondo diventa per ognuno, e per i giovani in particolare, davvero incomprensibile. Non stupisce che, all'ombra di tale impotenza, si sviluppi la pratica dei videogiochi in cui ogni giovane, in una sorta di autismo informatico, diventa padrone del mondo in battaglie individuali contro nulla, su un percorso che non conduce da nessuna parte. Se tutto sembra possibile, allora più niente è reale. E' in questa onnipotenza virtuale che le nostre società sembrano abbandonare la sfera del pensiero.

M. Benasayag e G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2006 (2003), p. 23.

venerdì 5 gennaio 2007

Un futuro incerto / 1

Oggi viviamo la crisi dell'ottimismo positivista e della fiducia nel progresso che ha caratterizzato soprattutto il XIX secolo.

La speranza era quella di un sapere globale, capace di spiegare le leggi del reale e della natura per poterli dominare. Libero è colui che domina (la natura, il reale, il proprio corpo, il tempo): questo era il fondamento dello scientismo positivista. Se l'universo è scritto in linguaggio matematico, come affermava Galileo, lo sviluppo dei saperi dovrebbe essere in grado di fornire la traduzione, la scienza dovrebbe essere lo Champollion del reale: dovrebbe cioè poter "leggere" la natura come Champollion decifrava i geroglifici. E' in questo senso che la promessa non si è realizzata: lo sviluppo dei saperi non ci ha installati in un universo di saperi deterministici e onnipotenti, tali da consentirci di dominare la natura e il divenire: al contrario, il XX secolo ha segnato la fine dell'ideale positivista gettando gli uomini nell'incertezza.

Quest'incertezza, peraltro, non significa una sconfitta della ragione: contrariamente al parere di molti contemporanei, che tendono ad imboccare le diverse vie dell'irrazionalismo, l'incertezza che persiste, quell'incognita che vanifica la promessa dello scientismo non è affatto, a nostro parere, sinonimo di fallimento. Al contrario, quell'incertezza consente lo sviluppo di una molteplicità di forme non deterministiche di razionalità. In altre parole, il fatto che il determinismo e lo scientismo siano caduti dal piedistallo non implica affatto il crollo della razionalità, che essi avevano arbitrariamente monopolizzato (1).
(1) M. Benasayag e G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2006 (2003), pp. 21-22.