giovedì 18 gennaio 2007

Descrizioni microscopiche / 1


Alla fine del XIX secolo la descrizione fisica della natura è dominata da due modelli: quello corpuscolare e quello ondulatorio.
Tutti gli oggetti dotati di massa, come anche i corpi celesti, sono descritti come punti materiali, che percorrono traiettorie, occupano una posizione ben precisa nello spazio, e quando si incontrano si urtano.
Nel 1897 J.J. Thompson scopre l'elettrone, ed il mondo microscopico inizia ad essere descritto da particelle che si comportano in modo analogo ai corpi materiali macroscopici.

La luce, invece, non è dotata di massa; è considerata una forma di radiazione, ed è descritta da onde che si propagano nello spazio. Le onde si comportano in modo molto diverso dalle particelle: esse tendono ad espandersi nello spazio e quando si incontrano si sovrappongono; la perturbazione generata da un'onda, cioè, si somma alla perturbazione dell'altra onda, in modo che in alcun zone l'ampiezza dell'onda aumenta, mentre in altre si annulla (vedi figura). Quest'ultima importante proprietà caratteristica delle onde si chiama interferenza.

Nel 1905 Einstein ipotizza che in determinate situazioni la luce interagisca in forma corpuscolare tramite quanti discreti chiamati fotoni. Nel 1924 De Broglie propone che gli elettroni, come tutte le particelle massive, in analogia con la luce, abbiano anche un comportameto ondulatorio.
Ben presto queste ipotesi sono confermate sperimentalmente: sia la radiazione che la materia sembrano avere una doppia natura; in determinati contesti esse si comportano come particelle, in altri come onde. Questa è la dualità onda-corpuscolo.

Cos'è, dunque, la luce? Cos'è un elettrone?
Sembra che i modelli tradizionali della fisica classica siano diventati inadeguati. Gli oggetti microscopici sfuggono ad una descrizione non ambigua che utilizza il linguaggio della fisica classica. Tuttavia Bohr sostiene che

per quanto i fenomeni possano trascendere le possibilità esplicative della fisica classica, l'esposizione d'ogni esperiemnto va fatta in termini classici. Ciò significa semplicemente che, con la parola "esperimento", ci riferiamo a una situazione in cui possiamo dirci l'un l'altro ciò che abbiamo fatto e ciò che abbiamo imparato, e che perciò la descrizione di un dispositivo sperimentale e dei risultati dell'osservazione va fatta in termini non ambigui, con l'opportuna applicazione della terminologia della fisica classica (1).
(1) N. Bohr, Discussione con Einstein sui problemi epistemologici della fisica atomica, in A. Einstein, Autobiografia scientifica, Boringhieri 1979 (1949), p. 113.

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