mercoledì 3 gennaio 2007

Etica / 5

Le espressioni che esprimono un valore etico non esprimono dei fatti, e per questo si può dire che sono insensate. Tuttavia con esse noi vogliamo esprimere qualcosa:

se certe esperienze ci inducono sempre nella tentazione di attribuire a esse una qualità che chiamiamo valore e importanza assoluti o etici, questo mostra semplicemente come con queste parole noi non intendiamo un nonsenso e che quindi, dopo tutto, dicendo che un'esperienza ha un valore assoluto, intendiamo solo un fatto come un altro, e che tutto equivale a dire di non essere ancora riusciti a trovare la corretta analisi logica di ciò che intendiamo con le nostre espressioni etiche o religiose.

Ora, di fronte a una tale asserzione, io vedo subito chiaro, come in un lampo di luce, non solo che nessuna descrizione pensabile per me sarebbe adatta a descrivere ciò che io intendo per valore assoluto, ma anche che respingerei ogni descrizione significante che chiunque potesse eventualmente suggerire, ab initio, sulla base del suo significato. Cioè, voglio dire: vedo ora come queste espressioni prive di senso erano tali non perché non avessi ancora trovato l'espressione corretta, ma perché la loro mancanza di senso era la loro essenza peculiare. Perché, infatti, con esse io mi proponevo proprio di andare al di là del mondo, ossia al di là del linguaggio significante (1).
(1) L. Wittgenstein, Sull'etica, in Lezioni e conversazioni, Adelphi 1995 (1965), pp. 17-18.

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