venerdì 5 gennaio 2007

Un futuro incerto / 1

Oggi viviamo la crisi dell'ottimismo positivista e della fiducia nel progresso che ha caratterizzato soprattutto il XIX secolo.

La speranza era quella di un sapere globale, capace di spiegare le leggi del reale e della natura per poterli dominare. Libero è colui che domina (la natura, il reale, il proprio corpo, il tempo): questo era il fondamento dello scientismo positivista. Se l'universo è scritto in linguaggio matematico, come affermava Galileo, lo sviluppo dei saperi dovrebbe essere in grado di fornire la traduzione, la scienza dovrebbe essere lo Champollion del reale: dovrebbe cioè poter "leggere" la natura come Champollion decifrava i geroglifici. E' in questo senso che la promessa non si è realizzata: lo sviluppo dei saperi non ci ha installati in un universo di saperi deterministici e onnipotenti, tali da consentirci di dominare la natura e il divenire: al contrario, il XX secolo ha segnato la fine dell'ideale positivista gettando gli uomini nell'incertezza.

Quest'incertezza, peraltro, non significa una sconfitta della ragione: contrariamente al parere di molti contemporanei, che tendono ad imboccare le diverse vie dell'irrazionalismo, l'incertezza che persiste, quell'incognita che vanifica la promessa dello scientismo non è affatto, a nostro parere, sinonimo di fallimento. Al contrario, quell'incertezza consente lo sviluppo di una molteplicità di forme non deterministiche di razionalità. In altre parole, il fatto che il determinismo e lo scientismo siano caduti dal piedistallo non implica affatto il crollo della razionalità, che essi avevano arbitrariamente monopolizzato (1).
(1) M. Benasayag e G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2006 (2003), pp. 21-22.

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