domenica 11 febbraio 2007

Elogio della ragione / 3

Quali pensieri sono così assolutamente certi che non abbiamo neanche la possibilità di negarli?
Consideriamo, ad esempio, il pensiero che 2+2=4. Si tratta di una affermazione che riguarda la matematica elementare; possiamo pensare, anche ipoteticamente, di negarla?
Se proviamo a pensare che 2+2=5, osserviamo che questa nuova affermazione è per noi insensata.

Negare una proposizione matematica è diverso rispetto al negare dei pensieri empirici. Ad esempio potremmo negare che il mondo che percepiamo sia reale, e che in realtà stiamo sognando; tutte e due le alternative sono plausibili, o almeno intelligibili. Ma se negassimo che 2+2=4, non potremmo neanche dare senso ad una qualsiasi alternativa.

Nulla di tutto ciò che potremmo immaginare diverso, compresa la possibilità di non riuscire a pensare che 2+2=4, comporta la minima possibilità che quella proposizione non sia vera, o sia vera solo in un senso limitato. Se siamo capaci di pensarla, allora, semplicemente, non può essere scalzata da alcun'altra supposizione, per quanto stravagante (1).
Dunque sembrerebbe che 2+2=4 sia vera in sé, indipendentemente da ogni ragionamento o riflessione. Ma possiamo proporre un'altra ipotesi.
L'affermazione 2+2=4 la comprendiamo all'interno di un linguaggio, il linguaggio matematico, caratterizzato da simboli e molto precise relazioni fra i simboli stessi. Questo linguaggio rappresenta il contesto semantico nel quale l'affermazione ha un significato ben preciso; quindi essa non può essere falsa poiché il suo significato è strettamente connesso alla definizione dei simboli "2", "+", "4", "=". In altre parole la verità dell'enunciato 2+2=4 è in qualche modo connessa con la definizione dei simboli che lo compongono. Per questo all'interno del contesto matematico non riusciamo a pensare che possa avere senso che, ad esempio, 2+2=5.
Se, invece, consideriamo la stessa espressione 2+2=4 al di fuori del contesto matematico in cui è nata, la stessa espressione non ha alcun significato, e quindi non ha neanche senso chiedersi se sia vera o falsa.

(1) Nagel T., L'ultima parola, Feltrinelli 1999 (1997), p. 57.

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