mercoledì 14 febbraio 2007

Elogio della ragione / 5

Cosa vuol dire comprendere, intendere un significato?
Ad esempio, siamo in grado di descrivere cosa accade in noi quando comprendiamo il pensiero “aggiungi due”?
Potremmo descrivere tutte le azioni che associamo a questa comprensione: se abbiamo davanti delle arance prendiamo altre due arance, se stiamo facendo dei calcoli aggiungiamo due unità al risultato che abbiamo appena ottenuto, ecc.
Tuttavia l’elenco delle azioni che si possono descrivere è finito, mentre le diverse azioni che si possono associare alla comprensione di “aggiungi due” sono potenzialmente infinite. Dunque questa spiegazione è insufficiente.

In modo alternativo potremmo spiegare l’espressione “aggiungi due” in termini di espressioni più semplici: “aggiungi due” vuol dire “aggiungi uno” ripetuto due volte. Tuttavia non risolveremmo il problema ma solamente lo sposteremmo, perché ora dovremmo chiarire cosa significa comprendere le espressioni più semplici che abbiamo utilizzato per spiegare quella più complicata.

Sembra, dunque, che non sia possibile ridurre il fenomeno della comprensione ad una descrizione naturalistica, ad una descrizione di azioni o di stati psicologici. La comprensione dei significati, quindi, ha in sé qualcosa di irriducibile e di indubitabile, che possiamo chiamare intenzionalità.

Proprio come non posso dubitare della mia esistenza, non posso dubitare che qualcuna delle mie parole abbia un significato, perché per poter dubitare di questo le parole che uso a tal fine devono avere un significato. […]
Alcuni significati complessi possono essere analizzati in termini di significati più semplici, ma non esiste alcuna spiegazione non circolare, in termini naturalistici – di comportamento, di disposizione, psicologici o fisiologici – dell’intendere in generale (1).
L’intenzionalità, quindi, rappresenta il nucleo centrale del processo del comprendere; essa appare come un’esperienza propria del soggetto individuale e non può essere ricondotta ad una descrizione oggettiva.

(1) Nagel T., L'ultima parola, Feltrinelli 1999 (1997), pp. 48-49.

Nessun commento: