venerdì 29 dicembre 2006

Etica / 1

In genere usiamo l'idea di bene in due accezioni differenti: in senso relativo (quando, ad esempio, diciamo che una certa persona è un buon pianista, nel senso che è in grado di suonare pezzi di un certo grado di difficoltà) e in senso assoluto (quando affermiamo che una certa persona non si sta comportando bene, e sentiamo che c'è qualcosa di essenzialmente negativo in quel che fa).

Ora, io voglio affermare che, mentre si può mostrare come tutti i giudizi di valore relativo siano pure asserzioni di fatti, nessuna asserzione di fatti può mai essere, o implicare, un giudizio di valore assoluto. Permettetemi di spiegare ciò: supponiamo che uno di voi fosse onnisciente, e conoscesse, quindi, tutti i movimenti di tutti i corpi del mondo, vivi o morti, e conoscesse anche tutti gli stati mentali di tutti gli esseri umani che siano mai vissuti, e supponiamo che quest'uomo abbia scritto tutto ciò che sa in un grosso libro, che conterrebbe quindi l'intera descrizione del mondo: quel che voglio dire è che questo libro non conterrebbe nulla che noi potremmo chiamare un giudizio etico o qualcosa che logicamente implichi un tale giudizio.

[...] Se, per esempio, nel vostro libro universale leggiamo la descrizione di un delitto, compresi i particolari fisici e psicologici, la pura descrizione di questi fatti non conterrà nulla che noi potremo chiamare una proposizione etica. Il delitto sarà esattamente sullo stesso livello di un qualsiasi altro evento, per esempio la caduta di una pietra (1).
(1) L. Wittgenstein, Sull'etica, in Lezioni e conversazioni, Adelphi 1995 (1965), pp. 9-10.

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